lunedì 1 aprile 2019

I "costi" di una disavventura

È difficile spiegare ad una persona che non ama la montagna il perché uno la frequenti, spiegare la necessità di salire fino alla sua cima, facendo spesso fatica ed alcune volte, mettendo a repentaglio la propria esistenza.

Io non ho una risposta a tutto questo. Io credo che sia tra virgolette una sorta di malattia, una necessità interiore, che viene soddisfatta solo nel momento in cui raggiungi il tuo obbiettivo.

Con questo racconto cerco di spiegarvi la mia disavventura che ha avuto conseguenze inimmaginabili e col senno di poi, non l'avrei mai neppure iniziata !!!

Per chi mi conosce meglio, sa che io amo praticare le mie attività sportive da solo, un po' per necessità, ma molto più spesso per scelta. Io ho sempre considerato l'alpinismo in solitaria la massima espressione dell'alpinismo stesso e mi ha sempre regalato fortissime emozioni.

Cima Sassara, sul gruppo del Brenta, era una di quelle cime che mi avevano sempre appassionato, perché non era la solita gita scialpinistica, ma per raggiungere questa cima era necessario superare difficoltà alpinistiche sostenute ed inoltre era una discesa di sci ripido, un connubio decisamente interessante, in poche parole una cima per pochi !!!

Il 2019 è stato un anno particolarmente scarso di neve, ma dopo essermi informato, sembrava che il percorso fosse in buone condizioni.

Cosi il 27 febbraio decisi di provare questa impegnativa salita.

La giornata fin dal mattino era calda, zero termico previsto sui 3000 metri. Cielo terso ed ottima visibilità, in poche parole condizioni perfette.
Poi l'esposizione ovest mi avrebbe permesso di salire con fondo duro ed aspettare il pomeriggio per trovare le condizioni ottimali della neve per la discesa con gli sci.
Tutto apparentemente sembrava perfetto!!!

Partenza da Carlo Magno, risalgo sci ai piedi la Val Gelada fino quota 2200 metri. A questo punto ho abbandonato la val Gelada e ho preso il canale a sinistra, la cui  pendenza aumenta progressivamente ed il fondo si fa sempre più duro e a tratti ghiacciato.
Alla strettoia decido di procedere con i ramponi e la picozza, sci a spalle.


Mano a mano che salgo, il fondo diventa sempre più duro ed in me nasce la tentazione di lasciar perdere, viste le condizioni decisamente non facili.
Ma l'orgoglio prevale e continuo a salire.
Raggiungendo cosi il termine del canale, chiuso da una fascia rocciosa.
Mi appresto a superare il tratto chiave del percorso, una cengia esposta lunga una 50ina di metri ricoperta parzialmente dalla neve.
Questo è l'unico punto debole della parete che mi permetterà di portarmi alla parte superiore per l'accesso finale alla cima.


Percorsi i primi metri della cengia, mi accorgo immediatamente che le condizioni non sono propriamente ottimali. La neve è fortemente disidratata dalle calde giornata dei giorni precedenti, quindi molto fragile.
Il buon senso avrebbe consigliato di rinunciare, ma il maledetto orgoglio mi diceva di andare avanti. Mi diceva: "Ancora un passo, ancora un passo".


Ed è qui che e successo il "patatrac".
Un passaggio su roccia difficile mi costringe ad abbassarmi di un metro, ma quando faccio il passo all'indietro, la fragile neve cede sotto il mio peso !!!

La scivolata e la successiva caduta sono inevitabili.

Ogni tentativo di arresto è stato inutile. Persa anche la picozza ho cercato inutilmente di fermarmi o perlomeno di rallentare la mia discesa.
Un salto di roccia mi fa fare le ultime "capriole".
Ormai esausto e abbandonata ogni speranza mi lascio andare sulla neve in attesa di fermarmi in una zona di minor pendenza.

Mi fermo finalmente 400 metri circa più in basso.

Durante tutta la discesa sono rimasto lucido e cosciente.
Fortunatamente mi sono arrestato in posizione supina e questo mi ha permesso di raggiungere facilmente il telefonino che fortunatamente non si è danneggiato durante la caduta.

Agisco d'impulso, senza dover pensare. In quel momento lo spirito di sopravvivenza è l'unico che prevale. Ripensandoci probabilmente anche la mia formazione da ex soccorritore mi ha dato una mano.


La prima chiamata è al 118, in breve gli fornisco le mie condizioni e le coordinate geografiche.
Passa poco tempo, 5/10 minuti, e già sento le pale dell'elicottero volare sulla mia testa.
Un senso di sollievo e di speranza invade ogni mia parte del corpo.
Sbarca il personale e il medico mi presta le prime cure mediche.
L'adrenalina è riuscita a mantenermi sveglio fino ad ora, ma dopo l'imbarco in elicottero crollo, probabilmente anche per effetto dei sedativi.
Mi  risveglio il giorno seguente nell'ospedale Santa Chiara di Trento nel reparto di rianimazione, con tubi che escono da ogni dove, ma ancora vivo !!!

Gli esiti dei traumi sono drammatici, quasi spaventosi !!! Riporto brevemente il resoconto dei medici:

  • Frattura a scoppio del soma di D7
  • Frattura somatica composta del soma di D10 e D11
  • Frattura composta di D7 e D8 trasversa
  • Frattura da I al X coste di destra
  • Frattura  I, II, X e XI coste di sinistra
  • Frattura ala sacrale sinistra, branche ileo e ischio-pulica sinistra
  • Frattura con distacco del grande trocantere di sinistra
  • Frattura epicondilo laterale omero sinistro
  • Frattura scomposta III diafisi ulnare e lussazione del radio sinistra
  • Contusioni cranico facciali e abrasioni varie

Per fortuna nessun danno al midollo osseo, mani e piedi riesco a muoverli e questo è un gran sollievo.


Vengo operato d'urgenza al braccio sinistro, mentre per la schiena si decide, dopo qualche giorno ed un consulto con i medici, visti i traumi al bacino, alle coste e al trocantere che mi costringono di stare a letto immobilizzato, di non intervenire chirurgicamente ed aspettare che le vertebre si saldino da sole per evitare un intervento che comportava certi rischi.

Nei giorni a seguire i progressi sono stati lenti ma costanti.

Rimango in rianimazione per 7 giorni e poi vengo trasferito nel reparto di chirurgia perché nel frattempo mi viene posizionato un drenaggio al polmone di destra.

I giorni passano "tranquilli" ma molto lenti. I dolori alla schiena e al torace sono molto forti e la morfina è l'unico farmaco che mi porta un certo sollievo.

Giorno dopo giorno vedo i piccoli miglioramenti, ma soprattutto è la vicinanza della mia compagna e dei miei familiari che mi da la forza ed il coraggio per continuare a sperare.

Il mio trasferimento a Villa Regina di Arco viene rallentato da una complicanza, una trombosi periferica alle gambe causata dalla mia immobilità, provoca dei piccoli e periferici emboli ai polmoni e mi tengono al Santa Chiara per qualche giorno in più.

A Villa Regina continuo la mia lungo degenza ed in seguito inizio la riabilitazione.
Tempi lunghi sono previsti per il recupero, ma il peggio è passato.
Ora il mio unico desiderio è ritornare a camminare sulle mie gambe, in seguito si vedrà il resto.

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Io in verità non so esattamente perché ho scritto tutto questo, io non cerco compassione. Questo racconto vuole essere solo un messaggio, un po' per tutti, ma soprattutto per quelli che frequentano la montagna e lo fanno rischiando, a volte, più del dovuto.

Io sicuramente ho sbagliato.
Ho sbagliato a valutare le condizioni del terreno in cui mi stavo muovendo.
Ho sbagliato a non portare con me una corda di sicurezza, che avrebbe sicuramente evitato una caduta cosi rovinosa.

Ripeto, col senno di poi, io avrei dovuto rinunciare a quella salita appena mi fossi accorto che le condizioni di quell'itinerario non erano ottimali.

Ma l'orgoglio è una brutta cosa e quel che è fatto e fatto.

Spero per il futuro, di essere piu coscienzioso e di essere più attento al bene più prezioso che ognuno ha: la propria VITA.

BUONA VITA A TUTTI.


Bosaro Andrea